Uranio sempre più in alto, record dal 2007. I motivi del rally
Non si placa il rally rialzista dell’uranio che nelle ultime sedute ha raggiunto il livello di prezzo più alto dal 2007. In tal senso, il prezzo spot dell’uranio ha raggiunto oggi i 93,70 dollari alla libbra, un prezzo più che raddoppiato dallo scoppio della guerra in Ucraina.
Ma non solo, secondo molti analisti la cavalcata rialzista dell’uranio è destinata a non fermarsi qui, con il mercato che rimane sotto pressione a causa dell’aumento della domanda a fronte però di un’offerta che rimane limitata.
In questo articolo vediamo quali sono i motivi che hanno spinto al rialzo il prezzo dell’uranio, quali sono i maggiori produttori/utilizzatori e quali i livelli da monitorare nei prossimi mesi.
Uranio, i motivi del rally
Come dicevamo, negli ultimi giorni il prezzo dell’uranio si è riportato su livelli di prezzo che non vedeva da ben diciassette anni, ma quali sono i motivi che hanno alimentato il rally a cui stiamo assistendo?
I principali fattori che nell’ultimo biennio hanno infiammato le quotazioni dell’uranio sono:
L’aumento della domanda
La crisi energetica scaturita dallo scoppio della guerra in Ucraina ha aumentato notevolmente la domanda di energia nucleare (una fonte di energia pulita) e con essa è aumentata anche la domanda di uranio. La Russia detiene infatti notevoli riserve di uranio, ma in seguito all’invasione dell’Ucraina, le società statunitensi ed europee hanno iniziato a rifornirsi al di fuori della Russia e ciò ha contribuito all’aumento di prezzo dell’ultimo anno.
A differenza di altre materie prime, gli alti prezzi dell’uranio non stanno frenando la domanda in quanto le centrali nucleari, per soddisfare la domanda di elettricità, devono lavorare 24 ore su 24, con il costo dell’uranio che è una componente relativamente piccola dei costi operativi degli impianti nucleari.
L’altro fattore (collegato al fattore precedente) è la crescente spinta verso la transizione energetica, con la maggiore attenzione verso la decarbonizzazione che ha portato ad un rinnovato interesse per l’energia nucleare, una fonte di energia a basse emissioni di carbonio.
Ciò è segnalato anche dall’ultimo rapporto della Bank of America Global Research, che ha segnalato che il rally dell’uranio è stato guidato dalla domanda da parte delle utility, che lo scorso anno (secondo UxC, la principale società di analisi del mercato dei combustibili nucleari) hanno acquistato quasi 160 milioni di libbre di uranio, il volume annuale più alto dal 2012.
La riduzione dell’offerta
L’altro elemento che ha innescato il recente rialzo dell’uranio è rappresentato dalla scarsità dell’offerta, con la produzione di uranio che negli ultimi anni è diminuita a causa di una serie di fattori, tra i quali la chiusura di alcune miniere e l’incertezza normativa. Da questo punto di vista, secondo i dati della U.S. Energy Information Administration, le riserve commerciali di uranio detenute dalle utility statunitensi sono in calo dal 2016, mentre in Europa sono in costante diminuzione dal 2013.
Ci sono infatti diversi rischi di approvvigionamento dell’uranio e un esempio eclatante in tal senso è rappresentato dal Niger (uno dei maggiori esportatori mondiali di uranio), dove il colpo di stato dello scorso anno ha praticamente paralizzato le esportazioni di uranio del Paese. Teniamo presente che nel 2022 il Niger era il secondo esportatore di uranio per l’Europa.
Ma questi fattori potranno continuare a sostenere i prezzi dell’uranio, che secondo alcuni analisti si stanno avvicinando rapidamente al punto in cui potrebbero incidere sulle spese generali delle centrali nucleari. In tal senso, secondo le stime della World Nuclear Association, il prezzo dell’uranio deve prima superare i 100 dollari alla libbra e rimanervi per un certo periodo di tempo prima di avere un impatto considerevole sui costi operativi delle centrali.
L’uranio come risorsa strategica
La crisi climatica e la recente crisi energetica scoppiata in Europa, hanno evidenziato ulteriormente l’importanza di avere un adeguato mix energetico per sostenere le attività produttive in ogni situazione. Ecco che in questo contesto torna l’attenzione sull’uranio dato che è la principale fonte di combustibile per le centrali nucleari.
Ricordiamo che l’energia nucleare è una fonte di energia pulita che non produce emissioni di carbonio e può quindi aiutare i diversi Paesi a ridurre la dipendenza dai combustibili fossili.
Teniamo inoltre in considerazione che con l’aumento della popolazione mondiale è aumentata costantemente la richiesta globale di energia, e quindi l’uranio diventa una risorsa strategica per soddisfare questa crescente domanda e garantire la stabilità degli approvvigionamenti.
Per questi motivi l’uranio è considerato sempre più una risorsa strategica e se il rally dovesse continuare anche nei prossimi mesi allora diventerà ancora più importante a livello strategico.
Tuttavia, l’energia nucleare continua a restare una fonte di energia controversa, a causa dei rischi associati agli incidenti nucleari e non mancano le sfide ambiziose per il settore, come la gestione sicura dei rifiuti nucleari e la preoccupazione di molti osservatori per la proliferazione nucleare.
I maggiori produttori e utilizzatori
L’uranio è un elemento abbastanza raro, ma anche se è presente in tutto il mondo non viene estratto in tutte le aree in quanto ha dei costi di estrazione molto alti.
I maggiori produttori di uranio sono il Kazakistan, il Canada, l’Australia e la Russia. Altri importanti produttori ed esportatori di uranio includono paesi come la Namibia, il Niger, l’Uzbekistan, la Cina e gli Stati Uniti.
I maggiori utilizzatori di uranio sono logicamente le nazioni che usano maggiormente l’energia nucleare e tra questi troviamo la Francia, la Cina, la Russia, gli Stati Uniti e il Giappone.
La Francia dispone infatti di una delle infrastrutture nucleari più avanzate in Europa, infatti, il 70% del suo mix energetico derivato dal nucleare, motivo per cui è fondamentale per il paese guidato da Macron avere un accesso rapido all’uranio.
L’andamento grafico dell’uranio
Nel grafico su time frame mensile qui sotto possiamo vedere l’andamento dal 2007 dell’uranio. Come vediamo, la tendenza dell’uranio, dopo essere rimasta ribassista per parecchi anni, con lo scoppio della pandemia nel 2020 (e ancor più dallo scoppio del conflitto in Ucraina) ha invertito la direzione, innescandosi in una sorprendente cavalcata rialzista.
I prezzi dell’uranio sono infatti passati nel giro di poco tempo (2020 ad oggi) da poco più di 20 dollari alla libbra fino agli attuali 93 dollari/libbra, con un balzo di circa il +280%.
Ora le quotazioni dell’uranio hanno messo nel mirino il raggiungimento della successiva resistenza statica in area 100 dollari alla libbra, mentre in caso di un ritorno della debolezza l’area supportiva più importante è a quota 70 dollari/libbra.
Per quanto riguarda i target, gli analisti della BofA Global Research prevedono che i prezzi spot dell’uranio raggiungeranno i 105 dollari la libbra quest’anno, per poi tornare sui 115 dollari la libbra nel 2025.
Balzano le società legate all’uranio
La recente tendenza dell’uranio sta mostrando i suoi effetti anche sulle società che sono connesse a questa preziosa materia prima. Da questo punto di vista, il prezzo di società minerarie come Cameco, che ha guadagnato il 71% negli ultimi 12 mesi, ma anche i fondi che detengono la materia prima fisica, come Sprott Physical Uranium Trust e Yellow Cake, che nell’ultimo anno hanno guadagnato rispettivamente il 74% e il 58%.
Buone performance anche per NexGen Energy e Uranium Energy.