Prodi si dimette, a rischio i dossier economici già aperti
Nella serata di ieri il premier Romano Prodi ha rimesso il proprio mandato nelle mani del capo dello Stato Giorgio Napolitano. La decisione dopo che il Governo è risultato battuto al Senato alla prova del voto sulla risoluzione contenente le linee di politica estera. Il Governo è stato battuto per due voti. La linea dell’esecutivo che prevedeva la permanenza del contingente italiano in Afghanistan e l’ampliamento della base Usa di Vicenza ha raccolto 158 si, 136 no e 24 gli astenuti. Il quorum per l’approvazione era di 160 voti. Determinanti le astensioni dei due senatori a vita Giulio Andreotti e Sergio Pininfarina, il voto contrario di Francesco Cossiga, così come la mancata votazione di due senatori appartenenti all’area di Governo: Fernando Rossi del Pdci e Franco Turigliatto del Prc. Diverse le strade che si aprono ora per la risoluzione della crisi: dall’allargamento della coalizione all’area più moderata del centro destra con un reincarico a Prodi (dichiaratosi disponibile), fino alle elezioni anticipate.
La caduta del governo, pur motivata da dissidi sulla politica estera potrebbe avere pesanti ripercussioni di natura economica, in particolare sul processo delle riforme strutturali e dei dossier economici aperti dal governo Prodi. Su quest’ultimo punto si guarda a quei temi che negli scorsi mesi sono stati al centro dell’interventismo del governo di centro-sinistra. Si va da Telecom, proprietaria dell’asset strategico della rete e al centro di frizioni con l’esecutivo già all’atto della presentazione del piano di riorganizzazione proposto da Tronchetti Provera, fino ad Alitalia, per la quale è ancora aperta la procedura di privatizzazione (l’unica varata dal Governo) che richiederebbe un esecutivo nel pieno dei suoi poteri. C’è poi il capitolo Autostrade-Abertis, operazione fin da principio osteggiata e sulla quale solo due giorni fa si era registrata una prima apertura. Ma i temi sul tappeto, almeno potenzialemente, sono anche altri. A partire dal progetto, gradito a diversi componenti della maggioranza, di scorporare Snam Rete Gas da Eni, arrivando fino al riassetto della Cassa Depositi e Prestiti, detentrice di alcune partecipazioni strategiche come quella in Enel (10,2%), Eni (10%) e Terna (30%). Infine il nodo Mediaset. La società di telecomunicazioni che fa capo al numero uno dell’opposizione ha molto da temere in particolare dal disegno di legge proposto dal ministro Gentiloni e che prevede restrizioni alla raccolta pubblicitaria. Solo due giorni fa il presidente di Mediaset, Fedele Confalonieri, aveva quantificato il danno per l’azienda proveniente da una eventuale approvazione del provvedimento in 800 milioni di euro.
Non sorprende così che tra mercati finanziari indifferenti l’unica vera scossa abbia riguardato proprio i titoli Mediaset, che hanno repentinamente reagito alla notizia del voto del Senato, chiudendo in progresso dell’1,35%. La reazione dei mercati di fronte al rischio instabilità è stata tuttavia contenuta, sia sull’azionario che sui bond. Il differenziale tra Btp e Bund, un indice del rischio paese percepito soprattutto nell’era pre euro, ha registrato un impercettibile peggioramento sulla durata decennale, con lo spread che si è allargato di solo un centesimo di punto, per segnare a fine giornata un peggioramento ridotto allo 0,005%. Gli indici di Piazza Affari hanno chiuso negativi, ma sostanzialmente sui livelli precedenti al voto.