Petrolio e nucleare: sale la tensione tra Iran e Occidente
Termometro in salita per il petrolio che, spinto dall’accescersi delle tensioni in Medioriente e in Nigeria, è tornato abbondantemente sopra la soglia dei 61 dollari al barile sul finire della scorsa settimana. Il Crude oil si è attestato a quota 61,19 dollari in chiusura venerdì scorso dopo essere salito durante la seduta fino a 61,80.
Sul barile ha influito il dato sulle scorte settimanali statunitensi diffuso giovedì scorso dall’Eia, che ha registrato un calo inatteso di distillati e benzine, ma soprattutto l’escalation di parole tra Occidente e Iran.
La Repubblica islamica non sembra intenzionata a retrocedere sulla questione nucleare: “Il programma nucleare è come un treno in corsa che non ha né freni né marcia indietro” ha dichiarato il presidente Mahmoud Ahmadinejad, spalleggiato dal suo ministro degli Esteri Mohammadi il quale ha affermato che il Paese è pronto anche ad affrontare una guerra. La replica, dal fronte opposto, per bocca del Segretario di Stato americano Condoleeza Rice che ha cercato di raffreddare i toni pur non spostando di un millimetro la posizione di Washington: “Non è necessaria nessuna marcia indietro, basta premere il bottone dello stop del programma di arricchimento dell’uranio”.
E’ proprio questo il punto di stallo sul quale si sono arenati i tentativi di negoziato per una risoluzione della questione. Né la Casa bianca né Ahmadinejad sono disposti ad arretrare e le sanzioni imposte dll’Onu non hanno avuto per il momento alcun effetto deterrente sull’Iran se non quello di alzare l’ostilità tra le parti. “L’Iran risponderà proporzionalmente a ogni nuova pressione” ha chiarito Alì Larijani in vista della riunione, oggi a Londra, dei membri del Consiglio di sicurezza Onu più la Germania che dovrebbe indurire le sanzioni verso il Paese.
Nessuno però chiude definitivamente la porta al dialogo. Non lo fa l’Iran di un Ahmadinejad indebolito sul fronte interno dalle scarse riforme economiche sulle quali si era incentrato il suo programma elettorale, e non lo fa l’America di un Bush ancora impantanato nelle secche di Iraq e Afghanistan e pressato dall’avvicinarsi delle scadenze elettorali. E neanche al Pentagono esiste una piena convinzione sulla positività di un attacco militare. I piani e gli scenari sono pronti, come rivelato dalla stampa Usa, ma impegnarsi su un altro difficile fronte non viene visto con favore in questo momento anche perché l’effetto potrebbe essere il rafforzamento della traballante leadership di Ahmadinejad.
Anche in Nigeria la temperatura è in salita con i ribelli del Delta del Niger che hanno intensificato i rapimenti e le azioni contro le società Occidentali presenti nel Paese tra le quali l’Agip, destinataria di un crescendo di minacce nelle ultime ore. Sono invece lavoratori dell’Impregilo Lucio Moro e Luciano Passarin, i due tecnici italiani rapiti nell’area la scorsa settimana mentre rimangono, dal 7 dicembre, nelle mani dei guerriglieri del Mend, il Movimento per l’emancipazione del Delta del Niger, Francesco Arena e Cosma Russo dipendenti Eni.