Mercati emergenti, mille opportunità e molte difficoltà
I mercati emergenti non sono sempre un Eldorado per tutte le aziende che decidono di espandere le proprietà attività. Molte società internazionali del settore industriale non riescono a raggiungere gli obiettivi che si era prefissati attraverso l’espansione del proprio business in queste zone.
Lo rileva uno studio condotto da Deloitte, dal titolo “Innovation in emerging markets”, dal quale risulta che meno della metà degli intervistati dagli specialisti della società di analisi si dichiara soddisfatto dai risultati ottenuti con gli investimenti nei paesi emergenti.
Alla base di questa insoddisfazione, e di qualche vero e proprio insuccesso, ci sono degli elementi ben distinti. Le aziende occidentali si recano in questi luoghi soprattutto con l’obiettivo di un drastico abbassamento del costo della produzione, una delle principali motivazioni dichiarate dagli intervistati. Una possibilità data dal basso costo della manodopera ma anche delle materie prime o delle componenti necessarie. Una strategia che non sembra però dare i frutti sperati. Ora le aziende dichiarano che lo spettro d’intervento in queste realtà deve essere più ampio. La necessità, adesso, sembra essere quella di integrarsi maggiormente nel tessuto sociale della nazione che ospita la produzione, magari offrendo prodotti e servizi vendibili anche sullo stesso territorio. Con il risultato di incrementare il fatturato e la propria quota sul mercato di riferimento.
“Questo obiettivo è perseguibile non solo vendendo prodotti ad hoc a consumatori a basso reddito
provenienti da questi Paesi” , commenta David Crackett partner Deloitte e responsabile dell’Indian Desk, “ma anche destinando ai consumatori della nuova classe media i prodotti occidentali. Basti pensare che nella sola India la classe media è cresciuta da meno del 10% negli anni ’80 al 25% di oggi, facendo salire il numero totale dei consumatori con un elevato potere d’acquisto a oltre 250 milioni”.
Per ottenere tutto questo, le imprese, devono utilizzare un approccio tutto nuovo. Gli investimenti vengono svolti anche per la ricerca o per la realizzazione di produzioni complesse, con reative attività commerciali o di marketing. Questo implica necessariamente la ricerca di talenti indigeni, più adatti a svolgere queste attività in questi paesi.
Dallo studio, inoltre, risalta come pochi degli imprenditori sbarcati sui mercati emergenti abbia messo in atto una preventiva attività di risk management. Solo il 56% degli intervistati, infatti, conferma di aver svolto una approfondita analisi dei rischi d’impresa prima di operare l’ingrasso in un mercato emergente, e solo il 45% opera in questo senso in maniera continuativa una volta affermata la propria presenza.
Le aspettative però, nonostante i problemi, restano alte. Circa il 60% degli intervistati ha dichiarato alla Deloitte la propria volontà di aprire nuovi stabilimenti o ampliare la propria presenza commerciale su questi mercati. Soprattutto per quanto riguarda l’India.
“I fattori critici di successo per operare con soddisfazione nei Paesi emergenti” conclude Massimo Cova, partner Deloitte e responsabile del Manufactoring, “sono la capacità di mettere al primo posto le competenze principali dell’azienda e l’abilità di rivedere continuamente le strategie per adeguarle/allinearle al mercato al fine di avere il posizionamento più profittevole possibile. Lo studio indica che le aziende stanno adattando con difficoltà le loro politiche e soprattutto stanno implementando lentamente nuove metodologie e approcci per gestire al meglio il business nei Paesi emergenti. Le aziende vincenti saranno quelle che saranno in grado di allineare la propria organizzazione con le esigenze dei mercati nei quali si trovano ad operare”.